Non siamo più vivi – come se già non si sapesse

Dopo il mio discusso articolo su Squid Game ho deciso di scrivere un commento su un’altra nuovissima serie coreana firmata Netflix.

È innegabile che ultimamente gli show coreani stiano riscoprendo un grande successo sulla piattaforma.

“Non siamo più vivi” è una serie piuttosto leggera, genere horror/teen drama che sinceramente non ha nulla di originale in termini di trama, ma che, al contrario di Squid game, ho guardato fino alla fine piuttosto volentieri.

Sinceramente non le avrei dato un centesimo all’inizio. Ho iniziato a guardarla per noia, in una di quelle giornate da umore altalenante, in cui la voglia di criticare tutto quello che ti circonda prende il sopravvento.

E invece, sarà perché gli zombie sono le mie creature dell’orrore preferite, sarà perché ci ho rivisto un incrocio tra una versione di The walking dead coreana, una di 28 giorni dopo e un pizzico di Corse Party (per chi non lo conoscesse, un anime horror/splatter, ambientato in una scuola) sta di fatto che, già dopo il primo episodio, ho dovuto ricredermi e dargli una chance.

Benché sapessi già dove sarebbe andata a parare, la vicenda mi ha fatto venire voglia di prendere il telecomando e cliccare su “episodio successivo” ancora e ancora.

Breve trama (no spoiler)

La vicenda si svolge nel liceo di Hyosan, un’imponente edificio che ospita migliaia di studenti. Tutto ha inizio quando un ragazzo tenta il suicidio a causa dei bulli.

Ironia della sorte vuole che quel ragazzo sia proprio il figlio di un insegnante di scienze che, nel tentativo di aiutarlo a fare fronte alle continue molestie subite, decide di sottoporlo ad alcuni esperimenti.

Qualcosa va male.

Suo figlio si trasforma in un essere incapace di intendere e volere, ma con una gran fame di…cervelli.

Il professore cerca di porre rimedio a quanto successo, ma qualcosa gli sfugge di mano e in breve tempo l’epidemia si estende a macchia d’olio.

Un gruppo di ragazzi, protagonisti della vicenda, restano intrappolati in un’aula dell’edificio, mentre fuori i loro coetanei si trasformano. Riusciranno a sopravvivere? Qualcuno arriverà in loro soccorso?

Punti di forza di questa serie

Contesto e scelte stilistiche

Ciò che secondo me affascina di più in “non siamo più vivi” è che il regista ti mette di fronte a un’epidemia di zombi in tempo reale. Benché l’epidemia zombie sia un elemento già visto più volte non stanca mai, soprattutto se ben costruito.

L’ infezione, dapprima circoscritta e controllata cresce esponenzialmente e manda in crisi totale una scuola, un sistema, un intero paese.

La narrazione è lineare ed è apprezzabile la fluidità degli attacchi tra una storia e l’altra. Ogni episodio infatti termina con un cliffhanger che cattura la curiosità dello spettatore e la tiene viva, spingendolo al binge watching.

Gli zombie sono ben caratterizzati. Più che somigliare a non morti ricordano dei veri e propri mostri carichi di collera.

Occhi iniettati di sangue, violenza, agilità e forza fisica sono i punti di forza di questi infetti. Abbandoniamo l’idea dello zombie che vince solo perchè fa gruppo e numero e torniamo ad abbracciare uno stile più in linea con 28 giorni dopo. I nemici infatti corrono come pazzi ed è davvero improbabile riuscire a salvarsi quando si è di fronte a un’orda.

Qualità tecniche

Personalmente ho molto apprezzato la particolarità della fotografia e della palette colori sui toni pastello, in contrasto con l’orrore che prende sempre più piede oltre le mura del liceo.

Solitamente nei film assistiamo a riprese più o meno ben fatte, ma difficilmente così impegnative come in questa serie.

Nelle scene in cui l’azione e il dinamismo la fanno da padroni, assistiamo a complicate riprese in piano sequenza – per chi non lo sapesse, si tratta di una tecnica cinematografica che prevede una lunga inquadratura, senza stacchi, che riprende momenti normalmente raccontati in più inquadrature.

Scene così sono complesse da realizzare poiché, per la loro buona riuscita, concorrono diversi fattori tra cui la recitazione degli attori e degli stuntman, i tempi perfetti al millesimo di secondo, un’impeccabile storyboard ed uno studio dei movimenti che permetta di tenere l’attenzione dello spettatore alta e mai “visivamente noiosa”.

Tematiche ripetitive, nel giusto

Benché la serie nasca come una forma di denuncia al bullismo nelle scuole e il tema ricorre in tutti i 12 episodi, ho trovato molto intelligente la scelta di non dedicargli più tempo del necessario.

Spesso, nelle serie TV, si tende a “martellare” lo spettatore, ripetendo il concetto più e più volte.

Questo meccanismo, oltre che far sentire lo spettatore uno stupido che non comprende il punto, è noioso (è uno dei motivi principali per la quale avrei voluto abbandonare Squid Game al secondo episodio)

Non c’è bisogno di essere ripetitivi e di ribadire i concetti duecento volte in 40 minuti. Le prime 802 volte saranno sufficienti, fidatevi! E concentratevi su qualcos’altro!

In “Non siamo più vivi” invece, il tema del bullismo compare in ogni episodio per una manciata di minuti, in diversi contesti. Non è invadente, serve soltanto a ricordarci che tutto è nato da lì e che, in mancanza di cambiamento da parte dei personaggi, la situazione peggiorerà sempre di più (infatti sopravviverà solo chi non abbandona il gruppo e ne sfrutta la forza)

Punti deboli di questa serie

Target assente?

L’unica nota stonata che ho trovato in questa serie è determinata dal target.

Trovo infatti che i rapporti e le sottotrame dei giovani personaggi rientrino alla perfezione nei gusti di un liceale, ma non di un adulto.
Gli atteggiamenti, i pensieri, le reazioni e le scelte dei protagonisti mi hanno fatto dire più volte:”la me sedicenne avrebbe fatto uguale!” ma, dodici anni dopo, mi fanno pensare: “perché!”

Nonostante ciò credo che la maggior parte dei ragazzini non riuscirebbe a guardare completamente la serie a causa del sangue e della violenza a cui ci mette di fonte.

Vi è inoltre una forte alternanza tra disperazione e battute divertenti, azione e calma piatta, romanticismo e violenza gratuita. Le colonne sonore “giocano” tra di loro: con note basse e inquietanti danno il cambio a musica allegra e spensierata che, a tratti, somiglia alla soundtrack di Doraemon.

Forse non riesco ad apprezzare così tanto questo succedersi di elementi così diversi tra loro per una questione puramente culturale (è un aspetto che ho notato anche in squid game e altre serie orientali – e la tendenza di rendere sempre tutto un po’ “fumettoso” e di esasperare alcune espressioni ed alcuni atteggiamenti)

Tutto questo mi fa chiedere:”ma allora a chi è destinata “non siamo più vivi”? Per quale pubblico è stata pensata?”

Conclusioni

In definitiva, direi che questa serie è ben lontana dall’essere considerata un capolavoro senza precedenti ma, nonostante tutto, è stata capace di intrattenermi e di farmi provare un genuino interesse per ciò che stavo guardando.

Zero originalità, sì.
Ma ci dimostra ancora una volta che in un epoca come la nostra, in cui è oggettivamente difficile proporre un’idea originale, sia comunque possibile proporre un buon prodotto.

È un bello schiaffo morale a tutte quelle serie che hanno fondato il loro successo sullo “spacciare per novità del momento un concetto visto e rivisto”, che poi si è rivelato essere estremamente deludente, con luoghi comuni a non finire e di una noia mortale (ogni riferimento a Squid game è puramente casuale).

Meglio allora puntare tutto su un contenuto magari già visto, ma ben pensato, con scelte coraggiose e interessanti.

Darei a questa serie un 7 pieno e ne consiglierei la visione a chiunque voglia trascorrere qualche pomeriggio rilassante, seguendo una serie che non è troppo impegnativa, ma che fa esattamente ciò che dovrebbe fare per definizione: intrattenere!

E voi? Avete già avuto modo di guardare “Non siamo più vivi”? Cosa ne pensate? Fatecelo sapere in un commento.

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