“Agghiacciante”, “Disturbante”, “Il film piú spaventoso dell’ultimo secolo”, “non dormirete la notte” …Erano soltanto alcuni dei commenti comparsi sul web relativi al trailer di “Men”, l’ultimo film di Alex Garland.
Ancora una volta, piena di aspettative per quel che si é rivelato poi essere l’ennesimo scherzone delle testate e dei siti piú importanti (di cui non scriveró i nomi, ma sappiate che vi odio profondamente!) che per scrivere quei titoloni e quelle recensioni tanto lusinghiere, quanto osannanti per questo titolo, devono aver ricevuto un bel compenso, altrimenti non si spiega.
Ho deciso di guardare questa trashata, che non era volutamente trash, anzi, secondo la logica contorta del regista doveva avere un messaggio profondo.
Cosa mi ha spinto a guardarlo? Proprio quei titoloni di cui parlo sopra e la mia insaziabile voglia di film horror.
Me lo sarei risparmiato volentieri? Si.

Sappiate che scrivo questo articolo con tutto l’odio che ho in corpo. La voglia di alzarmi e scaraventare il TV dalla finestra é stata forte, ma mai quanto la voglia di vomitare anche la cena della festa per il mio battesimo, quando mia madre fece per l’occasione una torta a tre piani, tutta rosa e con crema pasticcera (peccato che io avevo 6 mesi e non avevo i denti, ma me la sogno ancora).
Giá questo dovrebbe farvi capire molte cose.
NON prendete i popcorn per questo film, é senz’altro il piú valido dei consigli che posso darvi.
Questo é Men, di Alex Garland.

Le premesse erano buone

Partiamo dal fatto che Alex Garland é uno sceneggiatore che ha scritto “28 giorni dopo”, quindi non esattamente uno stolto (sì, ha scritto e diretto anche altri titoli, ma cito in particolare questo perchè lo ritengo tutt’ora un capolavoro, nonché uno dei migliori film a tema zombie mai visti) perció chiedermi come abbia potuto partorir…-ehm, no, dopo questo film mi fa schifo anche la parola- …pensare una simile oscenità é per me inevitable.
Sbaglieró io, ma normalmente il nome del regista rappresenta un po’ una garanzia. Magari é un pensiero limitante, ma non andrei mai a vedere un film di Moccia (a meno che non mi convincano, spingendomi nel cinema mentre mi imboccano una pizza maxi) conoscendo le sue precedenti opere e non essendo proprio un amante del suo genere.
Eppure stavolta ho toppato alla grande.

Vi diró di piú, per i primi 30/40 minuti di film sono anche stata capace di dire:”ma che figata, mi mette quasi ansia” – povera stupida mangiapopcorn illusa.

Situazioni particolari, insolite, che riescono a suscitare forte curiosità nello spettatore, a tenerlo incollato allo schermo, mentre continua a domandarsi “Cosa sta per succedere?”
Fotografia quasi perfetta, eccetto, a mio avviso, che per i filtri utilizzati che saturano i colori, al punto da rendere tutto “un po’ troppo allegro” tranne che nelle scene di buio.
I colori sono quasi sempre complementari e sapientemente combinati in una palette che, spesso, ci rimanda a titoli “esteticamente belli” come Midsommar, oppure Crimson peak.


A completare il tutto, ci sono le musiche disturbanti, che piú che un’alternarsi di note musicali, si traducono molto spesso in un sottofondo costante di canti liturgici stonati e rumori improbabili.
Con queste premesse, sembrava quasi che, a questo film, non mancasse nulla per rientrare nella mia lista ristrettissima di “horror belli” (che al momento conta solo 4 o 5 titoli) e invece, purtroppo, ho continuato a guardare…

Breve trama (no spoiler)

Non é assolutamente mia intenzione, rovinarvi questa indimenticabile esperienza. Per questo motivo mi concentreró solo su alcuni punti della trama, senza raccontare troppo.

Harper Marlowe è una giovane donna inglese che, dopo il suicidio del marito, decide di affittare un cottage nel villaggio di Cotson, un posto idilliaco e isolato, nella campagna inglese. Decide inizialmente di passare lì un mese, nel tentativo di elaborare il trauma e di “guarire” la mente dai brutti ricordi. Al suo arrivo la accoglie il padrone di casa Geoffrey, un tipo strano, ma apparentemente amichevole, che le dà il benvenuto e le presenta la casa.

Un giorno, Harper va a fare una passeggiata nel bosco e si accorge di una figura inquietante che inizia a seguirla fino a casa: si tratta di un uomo completamente nudo, coperto di tagli e cicatrici dalla testa ai piedi.
Spaventata, Harper chiama la polizia, che interverrà prontamente, ma, ovviamente, questo non basterà a fermare l’entità che perseguita la donna.
Il resto della trama, oltre a non volerlo spoilerare, non é troppo chiaro neanche a me. Vi dico soltanto che è un’accozzaglia di personaggi strani, situazioni e dialoghi al limite dell’assurdo, simbolismi inutili e di cui è quasi impossibile comprendere il nesso, se non con una guida o una recensione alla mano e tanto, tanto gore, che esplode sul finale in un’ode al disgusto.

Analisi del film

“Il film horror che fa scappare le persone dal cinema” diceva una delle tante recensioni trovate sul web. E’ vero, ma non per i motivi che pensate voi.

Come ho scritto nel paragrafo precedente, il titolo ha un inizio promettente, forte di una struttura narrativa particolare in cui, per i primi 45 minuti, lo spettatore crede di assistere ad una commedia dall’humor scadente. Nonostante il trauma della protagonista, infatti, il film procede tra sketch e battute pessime, soprattutto con l’introduzione del personaggio di Geoffrey, il padrone di casa. Già questo, rappresenta a mio avviso un primo punto a sfavore, poichè l’humor, anche se fatto male, estranea lo spettatore dal film, lo confonde e lo distacca dalla narrazione, che in realtà dovrebbe essere orrorifica.

Quando poi la protagonista inizia ad incontrare gli altri uomini del villaggio (che hanno tutti la stessa faccia di Geoffrey) la direzione che il film vuole intraprendere diventa ancora più confusa.

Il film avrebbe voluto rappresentare il modo in cui una donna che affronta un trauma, con una mente sofferente ed alle spalle un marito violento, vedrebbe il mondo degli uomini attorno a lei: tutti troppo distanti e intercambiabili (per questo han tutti lo stesso volto) che non hanno alcuna intenzione di ascoltarla, ma solo di approfittare di lei, in modi diversi.

Questo messaggio però non viene approfondito. Il dramma che vive la protagonista è solo di contorno alla vicenda e non ci viene spiegato a dovere. La narrazione incompleta è la causa di una mancata immedesimazione, anche minima. L’elaborazione del lutto, il senso di colpa per il suicidio del marito, l’orrore della morte e tutti i temi più profondi che questo film dovrebbe mostrare sono solo le briciole rimaste dalla pizza maxi del sabato.

Per questo il significato di “Men” sembra solo scritto tra le righe di un lungometraggio fatto da scene raccapriccianti, visivamente ben realizzate (anche troppo) che tuttavia non sortiscono l’effetto sperato.

Garland si è concentrato TROPPO sull’aspetto simbolico di questo film, inserendo figure sacre che affondano le loro radici nel paganesimo e nel cristianesimo. I riferimenti religiosi e folkloristici (assolutamente fuori luogo) si mischiano in scene di comprensione impossibile e sembra quasi che certe immagini siano state inserite più per appagare una voglia artistica, esteticamente gradevole, più che per esigenza narrativa.

Che dire, mi spiace che un autore come Garland si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano da una presunta autorialità, mettendo in ombra il film stesso, che, a detta di molti, oltre me, rappresenta un’occasione persa.

Conclusioni

“Ha le capacità ma non si applica”

No, non è la mia pagella scolastica, ma il mio giudizio circa questo film, che mi sento di consigliare solo se avete tempo da perdere e solo se non avete appena mangiato.

E voi? Lo avete già visto? Che ne pensate? Fatecelo sapere in un commento,

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