Violenza nei videogiochi: problema reale o fantasia?

“La violenza anche se orribile e deplorevole è accettabile, basta che nessuno dica parolacce.” Così diceva Sheila, la madre di Kyle, nel film di South park, mentre dichiarava guerra ai canadesi per aver girato un film dal linguaggio scurrile, che segnó profondamente le menti dei ragazzini della cittadina.

Era solo un cartone animato, certo, ma la mamma di Kyle (a cui dedichiamo la canzone nel link sottostante) rappresenta alla perfezione il modello del genitore preoccupato per le influenze del mondo esterno sul proprio figlio.

la canzone per la mamma di Kyle

Demonizziamo tutto, perchè sì.

Ci sono passati tutti: la musica heavy metal, per esempio, é stata uno dei miei primi “demoni” che ho visto combattere con le unghie e con i denti, poichè, si sa che i Metallica sanno trasformare in un sanguinario satanista che sacrifica teneri coniglietti, anche il secchione piú noioso, non appena viene premuto il tasto play.

Ricordo ancora quando i miei cd di Manson venivano nascosti, solo perchè la preside bigotta del mio liceo, pensó di telefonare ai miei genitori, per dir loro che aveva trovato “sconveniente” la maglietta di “the number of the beast”, indossata da me il giorno prima.

I miei genitori, presi dal panico, pensarono che fosse una buona idea farmi parlare col prete dell’oratorio. Quest’ultimo pareva piú spaventato di loro dalle mie magliette degli iron maiden, così, per purificare la mia anima, mi regaló un crocifisso di plastica sottile, che iniziai ad usare come plettro.

Beh, ormai la fase é passata. Ascolto ancora buona musica, gli Iron Maiden sono fighi. Ma sono riuscita a rassicurare i miei genitori sul fatto che il mio unico credo religioso sia la pizza.

Tuttavia quell’esperienza mi fece capire molto. É insito nell’essere umano trovare dei motivi per demonizzare un qualsiasi fenomeno comune e contemporaneo, a maggior ragione se si ritiene un po’ fuori dalle righe.

La copertina di Panorama, nel 2006, dopo l’uscita di Rule of Roses

Come per il metal ed il rock, con i loro “testi diabolici”, sono tante le vittime di questa ignoranza dilagante. Negli anni 90 sembrava quasi una moda attaccare qualunque cosa e renderla “children safe”. I fumetti (soprattutto i manga) arrecavano danni psicologici ai giovani, Dungeon and Dragons fu collegato a un caso di tentato suicidio di un ragazzo americano poichè grande appassionato del gioco e, ovviamente, i videogiochi, ipnotizzavano i bambini e li rendevano violenti ed instabili.

Per i media poi, che da sempre scrivono notizie false e dettagli mai accaduti, fu piuttosto semplice fare leva sulla paura e cavalcare il fenomeno.
(Sto parlando al passato soltanto perchè la me di adesso, ormai quasi 30enne, non subisce piú il fenomeno in prima persona, sotto certi aspetti la situazione é migliorata un po’, forse, sotto altri, é addirittura peggiorata)

Addentriamoci quindi nella questione violenza all’interno dei videogiochi partendo da alcuni dei primi casi eclatanti.

Prima del 2000

Il caso “death race” negli anni 70 aprí le danze, con le sue corse folli e la totale assenza di regole sulla strada, ma fu solo negli anni 90, con l’uscita di Mortal Kombat, la furia del pubblico si abbattè contro i videogiochi.

Giá il titolo, alla portata di tutti, che non prometteva esattamente gattini e brillantini, fece scalpore.
Una serie di attacchi da parte di stampa, politici e, ovviamente, le peggiori: le mamme infuriate, costrinsero le case videoludiche a creare la “entertainment software rating board” un primo esempio di classificazione dei videogiochi, una sorta di PEGI primordiale.

Seguirono a questo caso dei meccanismi di censura particolari, uno di questi utilizzato anche negli anni a seguire: il sangue verde.
Potevamo vederlo nel primo Tekken, House of the Dead e molti altri, lo scopo era quello di mitigare la violenza, ma ahimè, non servì a nulla.
Alcuni videogames portarono grandi danni alle loro case produttrici, ben oltre la semplice censura del sangue. Fu il caso di Resident Evil 2 che vide il suo ritiro dal mercato, anche se temporaneo, e a attacchi mediatici pesantissimi da tutte le parti, dovuti alla natura violenta del gameplay.

Ma fu nel 1999 che parti una vera e propria demonizzazione nei confronti di un titolo che, della violenza nei videogiochi fece una bandiera. Sto parlando di Doom.

In particolare si sosteneva la tesi che il gioco potesse instillare pensieri violenti nelle menti dei giovani giocatori, nonostante questi ultimi fossero specificatamente indirizzati verso un pubblico adulto.
La storia continuó a ripetersi e capita tutt’ora di sentir parlare di giochi violenti e dell’impatto negativo che questi potrebbero avere sui bambini.

Oggi.

In questi ultimi anni si sente spesso parlare di “family friendly” e di contenuti adatti ai bambini. Infatti, se ci soffermiamo a pensare alle trame e alla caratterizzazione dei personaggi, notiamo una semplificazione estrema e noiosa, quasi piatta, per venire incontro alle esigenze dei genitori petulanti e per non incorrere oltremodo in problematiche come quelle scritte sopra.

Per fortuna, solo ultimamente, questo tocca in minor parte il mondo dei videogiochi.
Ma qual é il punto di vista scientifico su tutto questo? I videogiochi possono davvero trasformare un individuo a questo punto ed essere causa di comportamenti violenti?

Di fatto, nessuna ricerca ha mai dimostrato un legame tra videogame violento ed un comportamento violento. 
Alcuni studi hanno confermato che una continua esposizione a scene violente potrebbe causare una riduzione della sensibilità emotiva.
Si tratta comunque di studi non completamente esaustivi, in quanto la ridotta sensibilità sembrerebbe infatti essere limitata ai minuti successivi al gioco e quindi non essere definitiva, oltre che dipendere dal carattere dell’individuo. 

Quindi non sono i videogiochi che rendono violenti.

Sicuramente pensare al mondo virtuale e a quello reale come a uno stesso spazio genera confusione. Ci può stare una totale immersione e un’immedesimazione importante, ma i due mondi sono comunque separati e distinti.

Quando si spegne la console, infatti, non ci si è trasformati nel killer del videogioco. Potrebbe capitare che le menti più sensibili si sentano un po’ più eccitate del normale e sentano la necessità di sfogare l’adrenalina o di calmarsi prima di studiare, leggere o compiere attività che richiedono un impegno più intellettuale. Ma la violenza non c’entra proprio niente.

L’esperienza del videogame può essere più o meno intensa, sicuramente chi ci gioca non resta impassibile di fronte agli stimoli proposti dal gioco. Ma è in questo momento che subentra un altro fattore FONDAMENTALE, ovvero l’educazione.

Con il termine “educazione” si intende anche l’esposizione del bambino ad esperienze non adatte alla sua età. Chiaramente questo è un dettaglio di cui il bambino non può essere a conoscenza nel momento in cui si acquista il videogioco. Sta al genitore informarsi, leggere, guardare recensioni o chiedere informazioni al venditore prima di lasciare che il proprio figlio accenda la console e abbia quel tipo di esperienza. Perciò, prima ancora di chiedersi se un videogioco può aumentare l’aggressività di un individuo, la domanda da farsi è: “Sarebbe appropriato alla sua età?”

Il problema di carattere educativo riguarda chiaramente non solo i videogiochi ma anche i cartoni animati, i film e le serie TV. Tanto, TROPPO spesso, capita di vedere bambini tenere in mano un cellulare o un tablet mentre giocano o guardano contenuti non adatti a loro, non controllati da un adulto. Anzi, molto spesso sono proprio questi ultimi a fornire loro questi strumenti perchè “almeno si tranquillizza”, “si annoia”, “piange troppo”. Troppo spesso sono i genitori stessi responsabili di questa cattiva educazione e dell’approccio sbagliato a temi di un certo tipo.

Forse, ancora prima di demonizzare qualcosa di cui sappiamo davvero molto poco è bene informarsi di più.

E soprattutto è ora di dire basta a tutte quelle notizie inutili e quei titoloni stile “il killer amava i videogiochi” a sostegno delle vostre tesi. Vorrei poter rispondere a chi scrive queste fesserie che 9 volte su 10 il killer amava anche le lasagne, ma non per questo gli amanti delle lasagne commetterebbero stragi, anzi, il più delle volte vorranno stare seduti a un tavolo per mangiarle, invece che perdere tempo con queste sciocchezze. E così gli appassionati dei videogiochi. Credete davvero che preferiscano perdere tempo a commettere stragi invece che posare le loro chiappone su una poltrona comoda per giocare? Se la vostra risposta è ancora sì, dopo aver letto questo articolo, siete spaventosamente fuori strada.

E voi? Cosa ne pensate dell’argomento? Vi è mai capitato di sentir dire che “quel videogioco è troppo violento e nessuno dovrebbe giocarlo”? Cosa vorreste rispondere a chi sostiene questa tesi? Fatecelo sapere in un commento.

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