Netflix ed il vergognoso sequel di un capolavoro.

Recentemente, su Netflix, mi sono imbattuta nel sequel di un film horror che tutti conosciamo e che mi ha portato a scrivere questo articolo.

Nel 1974 Tobe Hooper diede vita a un cult che mantiene tutt’oggi la sua forza orrorifica.
La prima volta che lo vidi da ragazzina non avevo gli strumenti per comprendere a fondo quel film. Ricordo che la custodia del VHS recitava “I crimini più efferati e brutali d’America”, che per me era l’equivalente di “a mamma non piace che io guardi questo film, quindi lo guarderò due volte. E poi farò pipì nel letto”.
Aaah, che bimba furbetta!

Ricordo anche con piacere il remake dello stesso film, nei primi anni duemila, firmato Marcus Nipsel, che vedeva tra i protagonisti una giovanissima Jessica Biel (che io conoscevo già solo perché guardavo Settimo Cielo su Italia 1).

Se in questo lunghissimo preambolo non siete ancora riusciti a capire di quale film sto parlando significa che siete troppo giovani.

Per chi invece mi ha seguita fin qui, avrà capito già che il film in questione è “non aprite quella porta”, un capolavoro intramontabile che, per anni, con la sua brutalità, ha affascinato generazioni di spettatori.
Leatherface è da sempre un’icona dell’horror, che suscita una genuina ansia, il terrore di finire tra le sue grinfie, torturati dalla sua motosega.

Ecco.
Ricordate tutto questo? Netflix ha preso per mano il produttore Fede Alvarez ed, insieme, han ben deciso di “produrre i propri escrementi fumanti proprio sopra ad anni di leggende, fascino e paura” (capitemi, sono pur sempre una signora) suscitando un più che motivato imbarazzo da parte degli spettatori e di chiunque abbia inconsapevolmente scelto di rovinarsi un pomeriggio con questo film.

Ecco a voi, signori, il mio cattivissimo commento su “Non aprite quella porta”, il sequel del 2022.

La fine che nemmeno il più brutto degli assassini meritava

Non so se Leatherface, condannato ormai da anni a un inferno di remake e sequel, meritasse tanto male.

Esattamente il 18 febbraio, Netflix, forte dei suoi guadagni e delle sue produzioni, quasi sempre piuttosto riuscite di film e serie tv, ha la brillante idea di riportare sui nostri schermi il ritorno di Leatherface.
Se quelle poche nozioni di matematica che conosco non mi tradiscono, quest’ ultimo dovrebbe essere in pensione da già qualche tempo. Ma questo non importa, perché il poverino ha ancora un fisico ben piazzato ed è forte e atletico come un tempo. Perciò mi sembra abbastanza scontato che possa ancora terrorizzare qualcuno con la motosega. Bizzarro eh?

Questa volta la desolata cittadina di Harlow sarà teatro di violenza e spargimenti di sangue.

Dante, una bionda senza nome, Melody e sua sorella Lila raggiungono la città con un’auto sgangherata.

Dante è un influencer stupido che si farà odiare già dal primo momento. Melody è la sua partner e Lila è una ragazza traumatizzata da un tragico evento accaduto nel suo liceo, al quale è sopravvissuta. Il suo modo per farsi coraggio e sopravvivere a quel che accadrà è recitare come un mantra: “Non sono morta quel giorno a scuola, quindi la morte mi segue ovunque”. Incoraggiante eh?

L’influencer entra nella dimora di un’anziana signora con fare arrogante, c’è un po’ di trambusto, la vecchia si agita, le viene un infarto e muore.
Questo scatena la furia di Leatherface, che viveva in quella casa con l’anziana, e che per vendetta prenderà di mira i ragazzi della vicenda e l’intero autobus di adolescenti appiccicati ai loro smartphone, che i protagonisti avevano invitato sul luogo per fare festa.

Sottolineo l’immenso fastidio che provoca la scelta dei personaggi e la loro caratterizzazione. Sembra quasi che il regista abbia voluto spingere lo spettatore a tifare per la vittoria del killer.
L’unica scena entusiasmante è infatti quella in cui Leatherface sale sullo stesso autobus imbracciando la motosega e fa una carneficina.

Il film è proprio brutto, senza significato. Solo gore gratuito, realizzato in modo nemmeno particolarmente eccelso e odio per i personaggi che sono soltanto delle macchiette inutili.
Mi asterrò da ogni spoiler sul finale, ma il titolo presenta dei buchi di sceneggiatura enormi ed è fatto di elementi poco avvincenti, che non catturano l’attenzione di chi guarda.

Nel complesso, definirei questo sequel un insulto ai film precendenti. Pagherei l’equivalente in denaro di una statua d’oro di King Kong in scala 1:1 pur di riavere indietro i minuti preziosi che ho sprecato per il guardarlo.

Conclusioni

No.

È tutto sbagliato.

Generalmente, anche quando non mi piace un film o un videogioco, cerco sempre di trovare un qualcosa di apprezzabile. Che sia la colonna sonora, le inquadrature, un personaggio particolarmente riuscito o una scena ben girata.
Invece di questo film non salvo proprio nulla.

Fateci sapere se lo avete visto e PERCHÉ lo avete odiato così tanto, nel caso mi fosse sfuggito qualche aggettivo cattivo potete aggiungerlo ai commenti qui.

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